World Cancer Day 2025

Oggi, in occasione della giornata mondiale contro il cancro, ho intervistato la prof.ssa Carlotta Sacerdote, ordinario di Statistica Medica, del Dipartimento di Scienze della Salute (DISS), UPO.
Questa è la prima intervista della rubrica “DIsSaperi: interviste con i ricercatori del Dipartimento di Scienze della Salute (DISS)”, in cui le/i nostre/i ricercatrici/ricercatori approfondiscono argomenti scientifici, in occasione delle giornate mondiali su tematiche legate alla salute.
La prof.ssa Carlotta Sacerdote si è laureata in Medicina e Chirurgia e ha poi conseguito la specializzazione in “Igiene e Sanità pubblica” e il dottorato in Genetica medica. Ha frequentato il Memorial Sloan-Kettering di New York e l’Universitè Catholique di Bruxelles in qualità di visiting professor. Il suo lavoro si concentra su temi di sanità pubblica, con particolare attenzione alle disuguaglianze sociali nell’accesso ai servizi sanitari e negli esiti delle malattie. Ha contribuito a progetti di epidemiologia clinica sulla qualità dell’assistenza e degli esiti in oncologia, nonché alla registrazione dei tumori. Ha un importante esperienza nell’ambito della ricerca eziologica delle malattie croniche, che include l’applicazione delle tecniche di biologia molecolare agli studi di popolazione. A partire dal 2018, ricopre il ruolo di Coordinatrice italiana dello studio EPIC (European Investigation into Cancer and Nutrition), una coorte epidemiologica che coinvolge circa 40.000 volontari in Italia per esplorare le interazioni gene-ambiente e le malattie croniche. Le evidenze prodotte da EPIC hanno contribuito significativamente alle raccomandazioni europee per la prevenzione del cancro e di altre malattie croniche negli ultimi 20 anni. Secondo la classifica di research.com, nel 2024 è considerata una delle 400 scienziate più influenti al mondo. Dal 2 aprile 2024 ha assunto l’incarico di Responsabile della Struttura a valenza Dipartimentale di Epidemiologia dell’Asl Novara.
Professoressa, quali sono le attuali tendenze italiane nell’incidenza e mortalità del cancro?
Secondo i dati raccolti da AIRTUM sui tumori diagnosticati tra il 2013 e il 2017 nei Registri Tumori, che coprono circa l’80% della popolazione italiana, si prevede che nel 2024 il numero di nuove diagnosi di tumori maligni in Italia resterà al di sotto delle 390.000 unità. Questo dato suggerisce una sostanziale stabilità rispetto all’anno precedente. Un altro aspetto positivo riguarda la riduzione della mortalità oncologica nell’intera popolazione, con un vantaggio di sopravvivenza per le donne rispetto agli uomini in quasi tutte le tipologie tumorali. Inoltre, contrariamente alle preoccupazioni emerse a livello europeo riguardo ad un possibile aumento dell’incidenza tra i giovani adulti, in Italia si è registrata una costante diminuzione della mortalità per tutti i tumori in questa fascia di età negli ultimi 15 anni, con un calo nei tassi di incidenza standardizzati per entrambi i sessi. Un altro dato incoraggiante è l’incremento della prevalenza di persone che convivono con una diagnosi di tumore. Nel 2024 si stima che siano circa 3,7 milioni gli italiani sopravvissuti alla malattia, pari al 6,2% della popolazione totale. Le evidenze scientifiche sulla prevalenza e sulla guarigione dal cancro hanno svolto un ruolo chiave nella promulgazione della legge sul diritto all’oblio oncologico anche in Italia.
Ci sono differenze significative tra le diverse aree geografiche o fasce di popolazione?
Si, ci sono importanti differenze nell’incidenza e nella mortalità per tumore a livello territoriale. I dati mostrano che i tassi di incidenza e mortalità standardizzati per età risultano generalmente più elevati nelle regioni del Nord rispetto a quelle del Sud. Anche le differenze di genere sono significative: considerando i tumori che colpiscono entrambi i sessi, le donne presentano un’incidenza più bassa e una maggiore sopravvivenza rispetto agli uomini.
Infine, le disuguaglianze socioeconomiche hanno un impatto rilevante sul rischio di sviluppare e morire a causa di un tumore. Studi europei, che includono anche dati italiani, evidenziano che le persone con uno status socioeconomico più basso hanno una probabilità maggiore di morire per cancro rispetto a chi ha condizioni economiche più favorevoli. Un esempio significativo riguarda il tumore al polmone: negli uomini con un basso livello di istruzione il rischio di mortalità è superiore del 50% rispetto ai loro coetanei più istruiti.
Qual è il ruolo della prevenzione primaria e secondaria nella riduzione del carico globale del cancro, e quali messaggi chiave dovrebbero essere diffusi in questa giornata?
Le variazioni nei tassi di incidenza e mortalità per tumore tra diverse aree geografiche, tra uomini e donne e nei diversi gruppi sociali dipendono da molteplici fattori. Tra questi, assumono un ruolo centrale gli stili di vita meno salutari, la scarsa adesione ai programmi di screening e diagnosi precoce e le difficoltà di accesso ai servizi sanitari.
Questa situazione sottolinea ancora una volta l’importanza di investire nella sanità pubblica, con un forte focus sulla prevenzione. È fondamentale promuovere abitudini di vita sane, che includano un’alimentazione equilibrata, l’attività fisica regolare, il mantenimento di un peso corporeo adeguato e l’astensione dal fumo e dal consumo di alcol. Questo è testimoniato dai risultati di trent’anni di indagini su stile di vita e tumori dello studio EPIC, uno studio Europeo coordinato dalla l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (AIRC) che ha reclutato circa 400,000 soggetti in Europa di cui 40,000 in Italia, con lo scopo di evidenziare le relazioni fra lo stile di vita e l’incidenza di tumori. Utilizzando i dati dello studio EPIC e di altri studi epidemiologici l’ AIRC ha diffuso il Codice Europeo contro il Cancro, che fornisce raccomandazioni per ridurre il rischio di sviluppare il cancro attraverso scelte quotidiane consapevoli e comportamenti salutari. È fondamentale promuovere una maggiore adesione ai programmi di screening, strumenti essenziali per individuare precocemente le patologie tumorali e aumentare significativamente le probabilità di guarigione. Tuttavia, persistono marcate disuguaglianze sociali nell’accesso alla diagnosi precoce, che si intrecciano con le differenze nei fattori di rischio legati agli stili di vita. Le persone in condizioni socioeconomiche svantaggiate – caratterizzate da basso livello di istruzione, difficoltà economiche o status di cittadini stranieri – tendono a partecipare meno agli screening e, al contempo, risultano maggiormente esposte a fattori di rischio come il fumo, la sedentarietà, il sovrappeso e una dieta povera di frutta e verdura. Nei prossimi anni, in Italia, l’offerta di screening sarà ampliata con l’introduzione di programmi dedicati alla diagnosi precoce del tumore al polmone e alla prostata, segnando un importante passo avanti nella prevenzione oncologica.
Il messaggio chiave è chiaro: non aderire ai programmi di screening organizzati significa perdere un’opportunità preziosa per prendersi cura della propria salute.
Come possiamo migliorare la raccolta di dati epidemiologici?
La normativa sulla privacy, in particolare il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR, Regolamento UE 2016/679) e il Codice in materia di protezione dei dati personali (D.Lgs. 196/2003, modificato dal D.Lgs. 101/2018), impone limiti rigorosi all’uso dei dati personali, specialmente quelli sensibili come le informazioni sanitarie. L’interpretazione restrittiva del GDPR ha avuto un impatto notevole sulla ricerca epidemiologica, rendendo particolarmente complessa la conduzione di studi epidemiologici di popolazione, per diversi motivi: 1) gli studi epidemiologici spesso analizzano ampie coorti di popolazione per comprendere l’incidenza, i fattori di rischio e le dinamiche delle malattie. Tuttavia, in questi studi non è sempre possibile ottenere il consenso esplicito da ogni singolo individuo coinvolto, soprattutto quando si tratta di dati raccolti da registri sanitari, cartelle cliniche elettroniche o altre fonti istituzionali. Questo ostacola la fattibilità di studi fondamentali per la salute pubblica; 2) queste limitazioni rendono molto difficili i linkage tra database diversi, che è spesso fondamentale per studiare le cause delle malattie e i loro esiti; 3) difficoltà nelle ricerche internazionali con scambio di dati sia fra Paesi dell’EU che però interpretano in maniera diversa il GDPR sia soprattutto con Paesi extra-EU o organismi internazionali come WHO.
È quindi fondamentale trovare un compromesso tra tutela dei dati personali e necessità di condurre ricerche essenziali per la salute pubblica. Un adeguamento normativo che consenta una maggiore flessibilità per la ricerca scientifica, come avviene in altri paesi europei, potrebbe favorire studi più efficienti e tempestivi, con impatti diretti sulla prevenzione e il trattamento delle malattie.
Giuseppe Cappellano
Per il logo credito a Francesca Oltolina
In foto Carlotta Sacerdote
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Dipartimento di Scienze della Salute – Università del Piemonte Orientale
Via Solaroli, 17 – 28100, Novara
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